«I nomi dei vitigni sono termini generici e non possono in alcun modo essere riservati in esclusiva ai produttori di una singola space geografica». A chiarire in modo definitivo l’ultima battaglia che si è scatenata nel mondo del vino italiano è il segretario generale dell’Unione italiana vini, Paolo Castelletti.

Un principio che sembrava assodato visto che da anni i vitigni che una volta erano francesi (Cabernet, Merlot, Chardonnay) sono diventati “varietà internazionali” perché piantati a ogni latitudine hanno prodotto vini premiati dal mercato (dal Pinot Nero Usa agli Chardonnay sudafricani). Le caratteristiche di un vino sono date dall’interazione dei vitigni con i diversi territori. Un’ulteriore prova di questa impostazione è information dalla nascita nel 2018 della categoria dei “vini varietali”, ovvero un improve dei vini da tavola che resta ben distinto dalle etichette Doc, Docg e Igt per le quali è necessario un legame coi territori. Ma i primi sono liberi mentre solo i nomi geografici, attraverso il sistema dei marchi Dop e Igp, possono essere riservati ai produttori dei differenti territori. Un’impostazione consolidata nel tempo anche dalla legislazione europea ma che invece in Italia ha dato luogo all’ennesima battaglia all’insegna dei campanili.

Tutto è cominciato mesi fa con un decreto proposto dal ministero dell’Agricoltura (in applicazione dell’articolo 44 comma 6 del Testo Unico del vino del 2016) che puntava advert autorizzare l’indicazione in etichetta (finora non prevista) dei nomi dei vitigni con i quali i vini sono prodotti. Una proposta che rispondeva a una necessità di maggiore trasparenza delle informazioni al consumatore e che è stata però contestata da quelle denominazioni che recano nella propria “ragione sociale” il nome del vitigno principale. A guidare la protesta sono stati i produttori di Montepulciano d’Abruzzo, con osservatori interessati quelli di Primitivo di Manduria, Vermentino di Gallura, Sangiovese di Romagna e altri che hanno puntato il dito contro la presunta «liberalizzazione dei nomi dei vitigni».

La vicenda si è poi inasprita quando nelle scorse settimane è stata presentata alla Conferenza Stato Regioni una nuova versione del decreto (non approvata) che, mentre da un lato regolamentava l’uso dei nomi delle varietà in etichetta, dall’altro puntava a introdurre un’esclusiva a favore delle cantine abruzzesi del termine “Montepulciano”. Con buona tempo dei viticoltori marchigiani che allevano le medesime uve per il loro Rosso Conero nonché dei produttori di Nobile di Montepulciano che, invece, è prodotto con uve Sangiovese ma nell’space di Montepulciano in provincia di Siena.

Va ricordato che tra i produttori senesi di Nobile e i viticoltori abruzzesi di Montepulciano nel 2012 period stato siglato un gents settlement che ha fissato regole di mutuo riconoscimento e di coesistenza dei marchi. Complessivamente in Italia sono piantati a Montepulciano 35mila ettari di vigneti, 17mila dei quali in Abruzzo il resto in molte altre regioni.

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