«In questi ultimi trent’anni ho visto la pasta, da sempre alfiere e prodotto simbolo del made in Italy, diventare davvero un piatto globale consumato ovunque in Europa e nelle Americhe e che ora, oltre ogni più rosea aspettativa, si sta diffondendo anche in molte altre aree del mondo». A raccontare la vera e propria epopea della pasta made in Italy è Filippo Antonio De Cecco, che sta per tagliare il traguardo dei trent’anni da Presidente dell’azienda di famiglia, terzo produttore mondiale di pasta alle spalle di Barilla e del gruppo spagnolo Ebro Meals. «La nostra azienda è stata al centro di questo sviluppo tumultuoso – aggiunge De Cecco – basti pensare che quando ne ho preso le redini, nel 1993, fatturavamo l’equivalente di 110 milioni di euro. In questi giorni chiuderemo il bilancio 2022 a quota 620 milioni con una crescita del 20% solo nell’ultimo anno».

Nessun impatto negativo quindi a causa delle tensioni internazionali?
Il motore di questa crescita non solo per la De Cecco ma per tutta la pasta italiana è stato l’export . Nel 2022 negli Usa De Cecco ha registrato un progresso del 30% nei volumi esportati (passando da 260mila quintali di pasta a 330) e ancora di più nel fatturato passato da 70 a 110 milioni di euro con un incremento del 55%. In un solo anno abbiamo quasi raddoppiato la nostra quota di mercato Usa passando dal 3 al 5%. E le vendite stanno andando bene anche nel 2023, durante il quale prevediamo un ulteriore incremento del 15%. Oggi gli Usa consumano 15 milioni di quintali di pasta. Un quantity analogo all’Italia anche se con una popolazione molto maggiore. Segno che i progressi non si fermeranno.

Filippo Antonio De Cecco, presidente da 30 anni dell’azienda di famiglia, tra i chief mondiali della pasta

Un development che non è stato penalizzato dall’inflazione?
Gli inevitabili aumenti di prezzo innescati dall’escalation dei costi produttivi e delle materie prime hanno penalizzato il mercato italiano ma non quelli internazionali. In Germania e nel Regno Unito siamo cresciuti del 12% circa, in Francia e in Spagna di circa il 20%. Nel 2022 per la De Cecco il giro d’affari estero ha superato i 300 milioni di euro e, soprattutto, ha superato il fatturato interno.

Con l’aumento dei consumi cresce però anche la concorrenza e le tensioni sui mercati delle materie prime.
Infatti, ed è per questo che i nostri investimenti di questi ultimi anni sono tutti concentrati sulla costruzione di nuovi silos per lo stoccaggio del grano. Noi maciniamo 3 milioni di quintali di grano l’anno. Le tensioni legate al conflitto russo-ucraino ci hanno convinto advert accelerare gli investimenti per raddoppiare la nostra capacità di stoccaggio per essere sempre meno esposti alle tensioni sui prezzi.

I problemi non sono con gli agricoltori ma dipendono dal fatto che l’Italia è deficitaria. In media manca un terzo del nostro fabbisogno di grano.

Tensioni che si trasferiscono nei rapporti con gli agricoltori che accusano gli industriali di comprare grano all’estero e non in Italia.
I problemi non sono con gli agricoltori ma dipendono dal fatto che l’Italia è deficitaria. In media manca un terzo del nostro fabbisogno di grano. Produciamo in media 40 milioni di quintali l’anno e ce ne servono 60-65. De Cecco ne acquista negli Stati Uniti (Arizona e California) e in Australia. Sono grani prodotti spesso in aree desertiche irrigate e, quindi, in condizioni molto meno dipendenti dai fattori climatici. Quel prodotto lo paghiamo di più del grano italiano e per questo saremmo felici se in Italia aumentasse la produzione di grani di qualità. Il percorso avviato da molti pastifici che hanno stipulato contratti di filiera con gli agricoltori negli ultimi anni sta migliorando quantità e qualità dei grani garantendo premi che sostengono i produttori. Bisogna insistere e magari accelerare in quella direzione.

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