Scordatevi il classico burro d’arachidi: quello che sta furoreggiando in Italia (con vendite che crescono del 50% l’anno) è una versione riveduta e corretta del peanut butter statunitense. Niente olio di palma né grassi idrogenati né zuccheri aggiunti: solo arachidi (che possono arrivare anche al 99% degli ingredienti), più semmai un pizzico di olio e di sale. Nasce così una crema spalmabile di arachidi dall’etichetta pulita e dal profilo nutrizionale virtuoso, che incarna i valori richiesti dai consumatori a un prodotto alimentare moderno: tante proteine, molte fibre, pochi grassi (e buoni per il sistema cardiocircolatori), pochi zuccheri, ma tanto sapore. Per questo gli sportivi se lo divorano a cucchiaiate e i salutisti lo consumano a colazione insieme a yogurt vegetali e fiocchi d’avena. Ma c’è anche chi segue l’abitudine orientale di usarlo in cucina o in pasticceria, al posto del burro.
Anche in virtù di queste caratteristiche, il burro d’arachidi piace sempre di più: secondo NielsenIQ, già da prima del Covid nella distribuzione moderna le vendite crescevano a tassi superiori al 40% anno su anno. Il 2022 ha confermato questo pattern (+49,4% a valore e +50,7% a quantity rispetto al 2021) e i primi dati del 2023 mostrano addirittura un’accentuazione delle quantità vendute. In uno state of affairs di tagli drastici del carrello della spesa, il burro d’arachidi va dunque decisamente controcorrente.
Nel 2022 solo in Gdo ne sono stati acquistati oltre 2,4 milioni di kg per una spesa superiore a 24,3 milioni di euro. E le proposte a scaffale si sono moltiplicate. «La concorrenza è cresciuta tanto che i competitor si sono raddoppiati» afferma Simona Fiorentini, direttore advertising ed export di Fiorentini Alimentari, la prima azienda a credere e investire sul burro d’arachidi all’italiana e tuttora la market chief con il 39% di quota a valore e il 43% a quantity. Storica importatrice di un famoso model statunitense, nel 2018 l’azienda torinese determine di fare da sé, mettendo a punto una formulazione più naturale e facendola produrre da un copacker europeo per poi lanciarla come prodotto wholesome sotto il model Fiorentini. «I primi tempi sono stati difficili perché i retailer erano diffidenti– prosegue Fiorentini – ma noi eravamo molto convinti della valenza del prodotto e, quindi, non ci siamo arresi. E abbiamo fatto bene: oggi il burro d’arachidi rappresenta il 10% del nostro fatturato (101 milioni di euro nel 2022, ndr) contro il 3% del 2018». Il punto di svolta avviene sotto la pandemia: le rotazioni aumentano e i retailer cominciano a interessarsi al burro d’arachidi, anche come nuova referenza per le loro non-public label. Così nel 2022 Fiorentini fa un’altra scommessa: investe 5 milioni di euro nel suo vecchio stabilimento dismesso di Torino e lo destina esclusivamente alla produzione di burro d’arachidi. Oggi lavora su un turno ma, a pieno regime, può triplicare i volumi, arrivando a ten.900 tonnellate annue.
L’azienda lo ritiene un traguardo raggiungibile. Come? Espandendo ulteriormente il mercato retail (ora concentrato in contesti urbani e goal sportivi/salutistici) e aumentando la produzione per le non-public label. Ma anche puntando sul mercato industriale, ossia sui maxi formati destinati alle aziende del meals che vogliano usare il burro d’arachidi come ingrediente.
Un fenomeno già in atto: secondo l’Osservatorio Immagino di GS1 Italy, nel 2022 in supermercati e ipermercati l’offerta di prodotti che segnalano sull’etichetta la presenza di burro d’arachidi è aumentata del 67% arrivando a 36 referenze, che spaziano dalle barrette agli yogurt.