Quella 2023 resta una vendemmia difficile per il vino italiano a causa del massiccio ritorno, innescato dalle abbondanti piogge primaverili, delle principali patologie della vite. In primo luogo, il fungo della peronospora, ma anche gli attacchi di oidio.
Problematiche quasi scomparse nelle ultime due annate grazie a caldo persistente e siccità. Ma tornate prepotentemente nel 2023 con le precipitazioni e il clima più mite. In questo quadro se la vendemmia risulta difficile per il vino italiano, si sta rivelando una vera e propria debacle per il vino biologico made in Italy. Se ne è parlato a margine della presentazione delle stime produttive di Assoenologi, Ismea e Unione italiana vini nei giorni scorsi a Roma.
Numeri sulla produzione di vino bio ancora non sono disponibili. Tuttavia, è un dato che i principali cali produttivi nel 2023 sono attesi proprio nelle regioni che vantano la maggiore incidenza di vigneti biologici. Le superfici vitate bio sono diffuse soprattutto in Sicilia (oltre 37mila ettari con un’incidenza del 38,2% del totale regionale). A seguire le Marche con un’incidenza del 38%, la Toscana col 37,7% (e nonostante lo scorso anno abbia perso il 9% degli ettari bio) e poi Calabria (32,5%), Puglia (21,5%), Basilicata (21,3%). Ebbene, in Sicilia è atteso un calo produttivo del 30%, nelle Marche del 25%, in Toscana del 20%, in Calabria del 32,5%, in Puglia del 25% e in Basilicata del 30 per cento.
«Io avverto sempre i produttori che seguo – spiega il presidente di Assoenologi, Riccardo Cotarella – dei rischi legati al biologico. Ci possono essere annate come quelle di due e tre anni fa nelle quali il clima ha aiutato. Ma ci possono essere anche stagioni come quella 2023 nelle quali fare vino bio risulta quasi impossibile. Ho notizia di viticoltori costretti a 30 trattamenti in vigna con il solfato di rame. Unico prodotto ammesso in viticoltura biologica contro le malattie. Tra le emissioni di CO2 dei trattori nei ripetuti passaggi tra i filari e i residui di rame sui grappoli (non proprio un ricostituente per l’organismo umano) davvero non so cosa ci possa essere di biologico in quei vini».
Un caso eloquente e che dovrebbe stimolare nuove e più approfondite riflessioni in tema di sostenibilità delle produzioni agricole. Annate come quella 2023 ripropongono con forza i dubbi sulla progressiva riduzione della chimica in agricoltura senza che siano stati ancora trovati rimedi sostitutivi.
«Un punto chiave – aggiunge Cotarella – è che l’agricoltura bio ha bisogno di maggiore ricerca scientifica e tecnologica di quella convenzionale. Non minore. Il “vino naturale” non esiste. In natura c’è l’uva che viene trasformata in vino grazie all’intervento dell’uomo. E serve sempre l’intervento dell’uomo per gestire la fermentazione e stabilizzare il vino che altrimenti si trasformerebbe rapidamente in aceto».