Se l’Italia fosse un ortaggio, probabilmente sarebbe un rosso e appetitoso pomodoro. Quello fresco è protagonista in cucina e nel carrello della spesa (è il secondo ortaggio più comprato in quantità dopo le patate e il primo a valore) ed è sempre più amato, tanto che i consumi sono cresciuti del 13% nell’arco di un decennio, arrivando a 18 kg annui professional capite (fonte Ismea). Di pomodori da tavola siamo anche grandi produttori: 952mila tonnellate nel 2022, secondo Eurostat.
Volumi ingenti, che ci mettono al secondo posto della classifica europea dietro l’irraggiungibile Spagna (1,6 milioni di tonnellate annue) ma che, però, non bastano a soddisfare la domanda interna: infatti l’11% dei pomodori freschi venduti in Italia arriva dall’estero, in particolare da Paesi Bassi e Spagna, e soprattutto da dicembre advert aprile, quando c’è poco prodotto nazionale. Ma la situazione sta cambiando. Nell’arco di un decennio, rileva Ismea, la produzione nazionale di pomodori da tavola è aumentata di quasi il 10%, mentre le importazioni sono diminuite del 7,4%, attestandosi l’anno scorso sulle 153mila tonnellate. Calo analogo (-7%) anche nel primo semestre del 2023, stima Fruitimprese.
«Dietro questo pattern ci sono gli investimenti sulle strutture produttive e l’accurata selezione varietale, che hanno permesso di aumentare i raccolti, di migliorare la resa, di ampliare la stagione produttiva e di segmentare l’offerta nonostante le criticità dettate dal cambiamento climatico e dalle nuove malattie» spiega Fulvio Berton, esperto del settore e managing director di Innovate To Develop. Molto si deve anche al fatto che i consumatori sono così curiosi e aperti alle novità da aver fatto dell’Italia un “laboratorio” di innovazione dell’offerta. Qui è nato il pomodoro a grappolo e qui sono stati sviluppati datterini e cherry, benché la loro genetica sia israeliana. La diversificazione dell’offerta è così spinta che in un punto vendita della Gdo si può scegliere tra una trentina di referenze, pagando da meno di un euro a oltre 10 euro al chilo, rileva Ismea.
La “pomodorizzazione” dell’Italia accomuna tutto il Paese: dalla Liguria, dove questa coltivazione ha preso il posto dei fiori nelle serre tradizionali, fino alla zona di Fondi e alla Sicilia, dove ora i pomodori non si raccolgono più solo da ottobre a maggio. «Grazie all’adozione della coltivazione fuori suolo su substrato di fibra di cocco la produzione prosegue anche nei mesi più caldi, quando la domanda aumenta» spiega Mirco Zanelli, direttore commerciale di Apofruit, che continua advert espandere del 10-15% la sua produzione estiva, arrivata a quest’anno a 1.500 quintali tra ciliegini, piccadilly e datterini contro i 400 dell’property scorsa.
Per raccogliere pomodori tutto l’anno c’è chi ha puntato sulle serre advert alta tecnologia dove i pomodori sono coltivati fuori suolo in condizioni controllate, con un minor consumo di acqua e di suolo e senza l’uso di diserbanti. Come Fri-El Inexperienced Home, uno dei principali produttori di energia pulita da fonti rinnovabili, che ha investito 90 milioni di euro in un progetto di economia circolare: sfruttare l’acqua calda prodotta dalle sue centrali nel ferrarese per riscaldare oltre 31 ettari di serre in vetro e ferro in cui coltivare 15mila tonnellate pomodori in idroponica. «Nel primo semestre del 2023 abbiamo aumentato del 40% il prodotto confezionato rispetto al 2022 – commenta l’amministratore delegato Florian Gostner – e quest’inverno metteremo sul mercato un quantitativo file, destinato sia all’Italia sia all’export in Germania e Austria».