Il riso italiano storicamente copre quasi il 60% della produzione europea e verso la Ue sono destinate la maggior parte delle esportazioni, che pesano a loro volta per circa il 60% della produzione. Ma calo delle superfici coltivate, cambiamento climatico, minor redditività e apertura all’import dai Paesi del Sud Est asiatico rischiano di erodere la management (per ora ancora salda) del made in Italy. La campagna in corso è ancora condizionata dalla siccità del 2022 e dalla tempesta che la guerra in Ucraina ha scatenato nel mercato delle commodities agricole. Ma le piogge di questi giorni (nelle zone più vocate alla risicoltura fortunatamente non violente come quelle che hanno devastato la Romagna) e l’equilibrio che sembra essere tornato sui mercati lasciano spazio all’ottimismo per il futuro prossimo.
Tuttavia i produttori non si possono permettere di abbassare la guardia: per arginare le minacce asiatiche e i pattern negativi occorre puntare sulla forza delle qualità tipiche (da risotto) e sulla selezione e valorizzazione di varietà (nuove o già esistenti) che abbiano maggior qualità e ricchezza dal punto di vista nutrizionale. Non a caso l’ultima ricerca presentata dall’Ente Nazionale Risi e condotta da Università di Pavia e Politecnico di Torino promuove alcune tipologie di riso anche dal punto di vista dell’indice glicemico, cioè per quel che riguarda la concentrazione di zuccheri complessi, dimostrando come il riso possa essere adatto anche nella dieta di soggetti diabetici.
L’altro importante filone di ricerca reso di grande attualità dall’emergenza del cambiamento climatico è quello sulle varietà che resistono meglio alla siccità. «Si tratta di specie con radici che sono in grado di assorbire più umidità dal terreno e più in profondità, inoltre sono anche più resistenti al calore – spiega Paolo Carrà, presidente Ente Risi –. Le nuove regole sulle Tea (nuova frontiera della biotecnologia, ndr) che dovrebbero partire a breve aiuteranno di certo».
Ma quanto pesa l’import dall’Oriente? Secondo Coldiretti nel 2022 il riso asiatico arrivato in Italia è aumentato dell’86%. Non bisogna però dimenticare che è un dato figlio dell’abolizione dei dazi europei a inizio 2022 e non di un pattern consolidato. Per dare un’thought in termini assoluti, secondo l’ultima fotografia scattata dall’Ente Risi, dal Myanmar sono arrivate in Italia 50mila tonnellate di riso nel periodo che va dal 1° settembre a metà aprile. Poca cosa rispetto alle 845 tonnellate di risone trasferite dai produttori italiani ai trasformatori (e in anni “normali”, cioè senza la siccità del 2022, il dato supera il milione di tonnellate). Il quadro cambia però a livello europeo, dove nello stesso periodo solo l’import da Myanmar e Cambogia delle varietà Japonica e Indica è aumentato di oltre il 30%, a quota 292mila tonnellate, e si arriverà presumibilmente a 500mila. Una quantità paragonabile a quella che l’Italia esporta verso i Paesi Ue. Con la differenza che dall’Italia arrivano anche le qualità da risotto ( l’unica tipologia non prodotta da noi è il Basmati). «Il nostro mercato di riferimento è l’Europa: più cresce la quota che arriva dall’Est più si riduce lo spazio per l’Italia», commenta Carrà. Su questo fronte una buona notizia arriva dallo cease Ue di pochi giorni fa all’ innalzamento del limite dei residui di triciclazolo nel riso importato: un pesticida vietato in Europa ma molto utilizzato in Asia.
«È evidente che se manca il riso il consumo europeo si sostiene con quello d’importazione – commenta Mario Francese, presidente Airi (Associazione industrie risiere italiane) – come non c’è dubbio che dobbiamo continuare a puntare e specializzarci sulle nostre produzioni tipiche. L’ultimo anno è stato eccezionale, abbiamo vissuto un combine di fattori penalizzanti, dalla siccità all’aumento dei costi energetici e dei fertilizzanti. Ora però la situazione è migliorata e la campagna potrà tornare a una situazione di maggiore equilibrio tra domanda e offerta. Il che dovrebbe riportare in basso i prezzi sia della materia prima sia quelli al consumo».