L’inflazione e il rialzo dei prezzi innescati dall’escalation dei costi lasciano un segno pesante anche sulle vendite di vino nella grande distribuzione. A rilevarlo è l’Osservatorio Ismea-Uiv che ha diffuso oggi i dati (su base NielsenIQ) sulle vendite di vino sugli scaffali della grande distribuzione organizzata nel primo trimestre del 2023. Numeri preoccupanti perché registrano una flessione del 6,1% a quantity con valori tenuti in piedi (673 milioni di euro, +2% sullo stesso periodo 2022) esclusivamente dal rialzo dei listini.
Particolarmente penalizzati in questa dinamica i vini fermi (-7,3%) con risultati ancora peggiori per le etichette Dop e Igp: -9,2% nel complesso della categoria che diventa -10,5 per i vini Dop rossi. Un dato quest’ultimo che sconfessa la lettura che è stata information di un rialzo dei prezzi giustificato da un maggior orientamento dei consumatori verso i vini premium.
La realtà parla di vendite penalizzate da un rialzo dei prezzi medi a scaffale che è stato del +8,7%. In controtendenza (come accade ormai da qualche anno a questa parte) la tipologia spumanti, che cresce in quantity del 3,9% (+9,8% i valori). Ma anche tra le bollicine si comincia a sentire qualche scricchiolio: l’incremento è interamente generato dall’exploit degli spumanti low value (+15,6%), segmento che presenta un prezzo medio allo scaffale di appena 4,47 euro/litro e che oggi vale quasi il 40% dei volumi venduti in Gdo tra le bollicine italiane.
Giù il Prosecco (-2,8% quantity) e lo Champagne (-5,8%), mentre salgono l’Asti Spumante (+11,8%) e i Metodo classico (+4% quantity), da confrontare però con il -35% registrato nell’omologo periodo del 2022.
«Come previsto – ha commentato il segretario generale di Unione italiana vini, Paolo Castelletti – non sarà un anno facile per il vino italiano, che anche nelle esportazioni registra a gennaio un calo del 4,3% su pari periodo del 2022, con variazioni fortemente adverse nella domanda extra-Ue. Il limitato potere di acquisto in Italia e nel mondo, assieme a un surplus dei costi delle materie prime secche, impongono la massima attenzione e concertazione da parte di una filiera le cui imprese stanno assorbendo direttamente parte dei rincari alla produzione. Ma evidentemente non basta».
A livello di canali, i più in sofferenza sui volumi risultano i low cost (-10%), a fronte di iper e tremendous che chiudono il trimestre rispettivamente a -4% e -5%. Profondo rosso per l’e-commerce: nonostante il sostanzioso taglio dei prezzi, le vendite on-line segnano a marzo -19,6%.