Nel 2021 erano 65, oggi sono 188. Basta questa cifra per riassumere la crescita dei Distretti del cibo, istituiti con la legge di bilancio 2018 per proporre un nuovo modello operativo finalizzato a rafforzare lo sviluppo economico e sociale dei territori. Ispirati ai distretti industriali, queste strutture nascono per coinvolgere tutti i soggetti del mondo agroalimentare – dai produttori alle associazioni, dai ristoratori agli enti locali – affinché possano lavorare insieme per promuovere la crescita delle filiere e dei territori, accompagnandone la transizione “verde” e supportando la nascita di nuove economie, in particolare nelle zone interne e distant.

Nonostante i nobili intenti con cui sono nati, però, i distretti del cibo hanno stentato a decollare, almeno fin quando sono arrivati i primi finanziamenti: ai 25 milioni del 2019 si è aggiunto uno stanziamento di 120 milioni tra il 2020 e il 2022 che – con il cofinanziamento dei privati al 70% – ha portato a 315 i milioni spesi. Poi è arrivata la possibilità di attingere i fondi del Pnrr e per il 2023 sono stati previsti altri 125 milioni per un bando in fase di preparazione (risorse che potrebbero aumentare secondo quanto dichiarato dal ministro Lollobrigida). Anche grazie a questo, in meno di un anno, il numero dei distretti iscritti all’apposito Registro nazionale istituito dal Masaf è aumentato del 33%.

«L’arrivo delle risorse finanziarie ha fatto da volano allo sviluppo dei distretti del cibo, che ora rappresentano anche come uno strumento per intercettare le opportunità offerte dalla politica agricola europea», spiega Serena Tarangioli, dirigente tecnologo del Crea-Pb (Centro Politiche e Bioeconomia). In ballo ci sono tanti soldi: 7 miliardi di euro tra Pac e fondo complementare del Pnrr (1,2 miliardi di euro), calcola il Crea. A cui si affiancano le risorse dei bandi regionali e i finanziamenti agevolati erogati dalle banche, come i 50 milioni di plafond messi a disposizione da Intesa Sanpaolo.

A far convergere l’attenzione sui distretti del cibo è la loro coerenza con la visione a lungo termine della Ue sulle zone rurali, che vuole stimolare un approccio di cooperazione per avviare uno sviluppo territoriale equilibrato e sostenerlo con strumenti concreti e dedicati, in particolare con il programma Chief.

Sebbene non se ne parli in modo dedicato, nel piano strategico della Pac 2023-2027 i distretti del cibo vengono inseriti tra i possibili beneficiari dei sostegni comunitari perché giudicati modelli di governance virtuosi e inclusivi, capaci di avviare processi innovativi di sviluppo. Inoltre hanno il merito di superare alcuni limiti della politica agricola comunitaria: mettendo in rete le pratiche, gli attori e le economie locali offrono una visione “olistica”, assente nella Pac, e creando un’ampia rete di stakeholder consentono anche alle piccole realtà (predominanti in Italia) di fare massa critica accendendo sia al mercato sia ai programmi comunitari, altrimenti irraggiungibili.

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